1 - PRECISI PROPOSITI DI DIFFAMAZIONE Vittorio Gregotti per lÂ'Espresso Sono tanto stufo di rispiegare le ragioni perverse e mafiose che hanno trasformato il quartiere Zen in un incomprensibile frammento, che non le ripeterò ancora una volta. Esse sono ben note e chi vuole ignorarle lo fa con precisi propositi di diffamazione. Farò quindi finta che lo Zen sia stato costruito come era stato pensato e discuterò dei suoi princìpi, e anche dei suoi errori, a partire da questa ipotesi. Naturalmente si tratta di un discorso per chi sia interessato alla critica degli incarichi sociali piuttosto che ai nuovi formalismi delle nuvole tanto alla moda. (I coniugi Bertinotti con Massimiliano Fuksas-U.Pizzi) Vorrei cominciare dagli errori: anzitutto quelli che provengono da una visione generosa e ingenua delle possibilità di acquisire una coscienza proletaria da parte di chi avrebbe abitato allo Zen provenendo da culture contadine di inurbamento recente, quando ci si sarebbe dovuti rendere conto che la struttura politico-sociale della Palermo degli anni '60 non lo avrebbe permesso. Ingenuità analoga è stata quella di credere nelle istituzioni preposte alla realizzazione del quartiere, e di aver avuto fiducia che negli anni almeno le amministrazioni della sinistra avrebbero tentato il completamento dell'insediamento. Ingenuità , infine, di credere che i difetti di una condizione abitativa monoclasse si potessero trasformare in riscatto solidale. Gli aspetti positivi sono quelli del passaggio da una composizione architettonica per edifici a una per isolati urbani, nel tentativo di produrre un effetto città per mezzo proprio dell'utilizzazione strategica almeno di quei servizi consentiti dalle legislazioni del tempo agli insediamenti Iacp, il più possibile ampliati e forzati verso la proposta di presenze di piccole strutture produttive, con tentativi di produrre situazioni polifunzionali per mezzo di servizi più articolati con continuità urbane tra servizi pubblici, piccoli commerci, piazze e strade riconoscibili, con la presenza di spazi collettivi utilizzabili e ben individuabili e misurati. (Vittorio Gregotti-LaPresse) In quegli anni le proposte dello Zen sono state guardate a livello europeo come un mutamento importante per passare da un disegno concentrato sull'oggetto edilizio a una nuova importanza del disegno urbano, degli spazi tra le cose e del ruolo di un'architettura precisa, semplice, organica, senza il desiderio dell'applauso. Questo richiamo è ancora più importante oggi, quando l'architettura, indifferente al disegno urbano, è sovente ridotta all'affastellamento di oggetti di design ingranditi in competizione, in una rappresentazione ritrattistica, questa sì totalitaria, dell'ideologia del mercato e del consumo, secondo ingenue metafore delle tecnologie, in un rimescolamento estetizzante dei linguaggi un tempo oppositivi delle grandi avanguardie. Un'architettura ridotta a valore aggiunto del prodotto anziché concepita come dialogo critico con la realtà per mezzo di ciò che solo con essa si può dire. 2 - à UN LUOGO DI TALE DEGRADO E DISPERAZIONE Risposta di Massimiliano Fuksas Vittorio Gregotti è stufo di spiegare le ragioni del fallimento del suo progetto per il quartiere Zen di Palermo. Così almeno afferma. Gli unici a cui dovrebbe spiegare e rendere conto probabilmente non siamo noi, ma gli abitanti del quartiere Zen. A circa 80 anni immaginavo, ingenuamente, che Gregotti potesse analizzare criticamente i suoi errori. E invece no: quasi rancoroso, parla di altro: parla di altro e contro altro, con poca chiarezza per i molti: "I nuovi formalismi tanto alla moda"... E poi ancora con astio e, sembra, frustrazione incita le masse a ribellarsi all'architettura ridotta a valore aggiunta del prodotto, contrapponendola al "dialogo critico con la realtà per mezzo di ciò che solo con essa si può dire". à chiaro? Mah! (Massimiliano Fuksas con la moglie Doriana-U.Pizzi) Mi illudevo che con la frase "vorrei cominciare dagli errori", Gregotti volesse parlare dei 'suoi' errori, di quelli che può compiere l'architettura quando diviene modello ideologico, astratto e lontano dalla realtà di cui tanto afferma il valore. E invece no. Gregotti se la prende con soggetti poco identificati contrapposti a una visione "generosa ed ingenua" (la sua?), che sognava di dare "coscienza proletaria" a chi avrebbe abitato lo Zen "provenendo da culture contadine di inurbamento recente, quando ci si sarebbe dovuti rendere conto che la struttura politico-sociale della Palermo degli anni '60 non lo avrebbe permesso". Cà spita, che capacità di interpretazione della realtà ! E poi l'errore sembra che sia stato quello di aver creduto che le amministrazioni di sinistra avrebbero completato l'insediamento. E ancora, Gregotti considera altro suo errore l'ingenuità che l'architettura potesse trasformare la condizione proletaria in un riscatto sociale. La visita al quartiere Zen è un'esperienza estremamente utile non solo per gli architetti e per gli uomini politici, ma per chiunque sia interessato a non ricommettere gli stessi errori o 'ingenuità '. Due anni fa, di passaggio a Palermo, ho fatto una visita con le mie figlie, ovviamente all'interno di un'auto guidata da un autista palermitano. Budelli con visione ad altezza uomo sulle saracinesche dei garage, a volte divelti, qualche volta incendiati. Questo è il rapporto con la strada, vie senza uscita, luogo di degrado e dove 'sostano' automobili squassate e smontate? Quale vita sociale si poteva produrre dallo schema urbanistico di Gregotti che, con l'idea di superare il lotto e la palazzina, determinava una configurazione di quartiere disegnata con l'angolo retto e con una geometria precisa e chiara, ma per nulla umana? (Vittorio Gregotti con la moglie-LaPresse) Capisco che Gregotti non accetti la critica. Ho scritto (L'espresso n. 46): "Il quartiere Zen a Palermo è un luogo di tale degrado e disperazione che non può essere soltanto addebitato all'assenza dei servizi. Qui si tratta di una visione totalitaria gravemente lesiva della possibilità di vita che una società povera ma pur sempre compatta come quella siciliana poteva sperare". E questo lo ribadisco. Le nuvole, che a Gregotti piacciono poco, almeno sono leggere e per gli animi sensibili possono dare emozioni. Il peso specifico del suo quartiere Zen è insopportabile. Come d'altronde il peso specifico del piombo.> |
0 comments:
Post a Comment