31.10.2005 - Un miraggio chiamato MiTo L´acronimo incoraggia al gioco che trasforma il MiTo in mito e la sua lettura si presta a fare del progetto della grande area Torino-Milano una sorta di miraggio che periodicamente appare sull´orizzonte del Nord Ovest per poi dissolversi nel silenzio delle cose irrisolte che si lasciano dietro una scia lunga di delusione e di impotenza. Per stare nella metafora il fenomeno si è riprodotto nell´ottobre del 2004. Un anno dopo è difficile per chiunque trovare una traccia che porti a quel progetto e che non sia il frutto di qualche iniziativa avviata e proseguita indipendentemente dalla grande illusione. Torino di qua e Milano di là , non si amano e non si combattono più di quanto non abbiano fatto in passato. Il «Diamante fiammingo» tra Anversa e Lovanio e il Bacino della Ruhr in Germania, presi come modelli di riferimento, restano un´altra cosa. Eppure era generoso, non immotivato e non privo di fantasia il tentativo di Enrico Salza che ci ha riprovato due decenni dopo il progetto di Carlo Tognoli e Diego Novelli. Per esorcizzare il demone maligno del fallimento o più semplicemente per un fatto di appartenenza lui lo ha chiamato ToMi insistendo sull´idea che, in una visione europea, Torino non poteva essere periferia di Milano ma semmai il contrario. Una provocazione che, a suo dire, questa volta avrebbe dovuto funzionare. E la spiegava così: «Torino e Milano hanno esaurito il loro ruolo, non sono più centrali come un tempo, non sono in declino ma si debbono guardare intorno e ripensarsi, non hanno un grande progetto, non hanno imprese proprie ad alta tecnologia, non sono centri di servizi che siano un esempio di eccellenza». Di qui la sua convinzione che le due città avrebbero dovuto «darsi una scossa e mettere assieme le forze per risolvere un problema comune». L´alta velocità , l´alleanza tra i Politecnici delle due città , una più stretta collaborazione sul fronte della ricerca, un collegamento superveloce tra Caselle e Malpensa, un distretto medicale con servizi di eccellenza in comune, la nuova Fiera di Milano e il Lingotto di Torino, le due Camere di Commercio: tutto questo e altro ancora avrebbero dovuto contribuire alla nascita della nuova grande area. Un´area destinata nel prossimo trentennio ad avere due milioni di abitanti in più, un aumento del reddito complessivo da 376 a 552 milioni di euro, un incremento dell´occupazione del 55 per cento, nel pieno della crisi Fiat e nella confusione della finanza milanese che avvertiva pur senza averlo avvistato per tempo l´arrivo dei «barbari» sotto le mura di via Solferino, quell´abbraccio che cancellava il ricordo della fatale Novara sembrava una buona idea. Prometteva di sostituire una moderna collaborazione al conflitto anacronistico e improduttivo. Aperta anche al coinvolgimento di Genova lasciava intravedere una triangolazione industria-finanza-traffici portuali inedita, l´esatto opposto della Padania arroccata sui campanili. I risultati sin qui conseguiti sono al di sotto anche delle più modeste aspettative, dando per scontato che certe realizzazioni sono andate avanti comunque, essendo state incluse nel progetto e non programmate per questo. Ancora una volta il miraggio è apparso sull´orizzonte per poi svanire. La spiegazione potrebbe essere curiosamente trovata nell´acronimo senza maiuscole e nella sua definizione data da André Malraux per il quale «i miti sui quali viviamo sono contraddittori». C´era infatti una contraddizione, non solo storica, nel tentativo di apertura verso Milano che svelava un progetto poco convincente e per alcuni versi anche superato. Nell´Italia dei primi anni Ottanta forse sarebbe stato meno difficile mettere in cantiere e realizzare l´alleanza futuribile proposta dai sindaci di Milano e di Torino. Vent´anni più tardi è diventata impossibile. Non risulta infatti che tra quanti ne hanno parlato a Cernobbio nell´ottobre del 2004, con sincera passione o per dovere d´ufficio, sia stato in seguito mosso un dito per uscire dal cortile angusto della chiacchiera. Certo, fra non molto, sarà possibile andare da Torino a Milano in 45 minuti e magari su treni non infestati da parassiti, ma questo non basta per poter parlare del «Diamante Padano». L´Unione Europea avrebbe dovuto consigliare un diverso orientamento inteso come una maggiore attenzione al versante opposto a quello di Milano. Paradossalmente se invece di insistere sull´asse Torino-Milano si fosse guardato a quello Torino-Lione, ragionando in termini transnazionali forse oggi qualche risultato ci sarebbe stato perché su questo versante sarebbe stato possibile trovare più affinità , maggiore collaborazione, migliori prospettive. Sarebbe stata una scelta più moderna. Salvatore Tropea - Repubblica> |
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